“Le terre dei Principi”, è così che vengono definiti i domini dei Longobardi del Sud nella Vita di s. Nilo da Rossano. La conquista araba della Sicilia, iniziata nell’827 con i primi sbarchi di Saraceni nel trapanese, innescò un significativo flusso migratorio che si protrasse fin oltre la metà dell’XI secolo. Interi nuclei familiari abbandonarono l’isola e la Calabria meridionale spingendosi a Nord per insediarsi nei territori dell’alto cosentino e nelle Valli del Sinni e dell’Agri, nella Basilicata occidentale, fino ad oltrepassare la frontiera che separava i domini bizantini da quelli longobardi, raggiungendo la Costiera amalfitana e la stessa Salerno, ma soprattutto occupando vasti comparti della Campania meridionale che allora costituiva il demanio dei Principi longobardi di Salerno.

Tra i migranti trovarono rifugio “nelle terre dei Principi” anche numerosi monaci che, in accordo con i signori locali, ricostruirono chiese abbandonate e fondarono monasteri, diventando punto di riferimento per le realtà locali e fungendo anche da attrattori per lo stanziamento di altri migranti. Si assiste così all’incremento del popolamento, con la nascita spesso di nuovi insediamenti, e allo sviluppo della messa a coltura nel vasto comparto territoriale posto a Sud del Sele.

Sono proprio i racconti biografici di alcuni santi e monaci italo-greci ad offrire un quadro molto suggestivo delle dinamiche di questo flusso migratorio, insieme alla documentazione d’archivio e alle evidenze storico-artistiche ed architettoniche sopravvissute. É attraverso l’analisi di queste testimonianze che la mostra racconta lo svolgimento di una migrazione e dei suoi esiti economici, sociali oltre che culturali e religiosi, nelle terre d’arrivo. La ricostruzione che gli studiosi sono stati in grado di offrire al pubblico è un viaggio nei territori di 85 Comuni della Calabria, della Basilicata e della Campania, tutti legati profondamente da questo momento storico e dalla condivisione della stessa matrice culturale e devozionale che ha prodotto e che ancora oggi si può riconoscere come fondamento nella costituzione del patrimonio identitario delle rispettive comunità. Ma è anche la trama di una Storia che non si trova nella manualistica corrente e che troppo spesso è stata relegata ad un ambito specialistico precludendone la fruizione al grande pubblico.